Ho appena chiuso un quotidiano generalista a tiratura nazionale che in un articolo decanta la meravigliosa resistenza al fuoco di una struttura realizzata in legno.
Appena la scorsa settimana, un altro quotidiano, anch’esso generalista e a tiratura nazionale, racconta che le strutture d’acciaio sono totalmente riciclabili, quindi, il non plus ultra in materia di sostenibilità ambientale.
In occasione del terribile evento del ponte sul Polcevera, a Genova, illustri personaggi e meno noti “predicatori” hanno gridato allo scandalo indicando come esempi di eccellenza per la durata nel tempo il Golden Gate Bridge, che già il nome evoca “immortalità” e il ponte di Brooklyn, perché costruiti in acciaio.
Qualche settimana fa davanti alle telecamere della RAI, quindi, urbi et orbi, uno dei maggiori costruttori edili italiani ha “rassicurato” la popolazione asserendo che il calcestruzzo dura non più di 50 anni e questa affermazione, rilasciata con lo sfondo delle bellissime nuove pile in calcestruzzo del costruendo ponte di Genova “in acciaio” progettato da Renzo Piano che, come sappiamo, sostituisce quello crollato realizzato in “cemento” proprio una cinquantina di anni fa, ha turbato il quieto vivere (a dire il vero poco quieto durante il recente periodo pandemico) del mio amico medico che l’indomani, di primo mattino, si è preoccupato di chiedermi quali rischi corre sul tragitto casa-ospedale dovendo passare tutti i giorni, due volte, su un ponte in calcestruzzo realizzato 70 anni fa che scavalca l’Adige a Verona.
A ben pensarci, se abbiamo posto la dovuta attenzione nella lettura, possiamo, anche, trovare invertiti materiali e qualità: altri articoli, infatti, chissà perché difficilmente pubblicati sulle riviste tecniche specializzate non di parte, ci istruiscono sull’assoluta e totale riciclabilità del legno, sulle capacità ignifughe dell’acciaio, sull’eterna durata di entrambi, ecc.
A questo punto mi sono sorti un po’ di dubbi: perché non si parla mai delle opere in calcestruzzo e delle tante qualità che il materiale possiede? Ma il calcestruzzo è veramente un materiale superato? Forse non è riciclabile? Forse è vero che non “dura” più di 50 anni? Forse è stato scoperto che brucia e alimenta gli incendi? Forse non è sostenibile per l’ambiente? Forse, col tempo, arrugginisce o è attaccabile da (micro) organismi che ne alterano la consistenza? Forse….
Siccome, nonostante la carica che temporaneamente occupo, non sono né un ingegnere né un tecnico dei materiali, negli ultimi giorni ho cercato di approfondire gli argomenti e trovare una risposta, seppur limitata, a queste domande.
Ho scoperto che tante opere infrastrutturali possono essere costruite solo in calcestruzzo, ad esempio, le gallerie artificiali e le dighe (dove l’alternativa, ma solo in certe situazioni territoriali, è la terra), che in tutte le costruzioni che superano una certa altezza è indispensabile che ci siano dei nuclei di irrigidimento in calcestruzzo, è ciò senza contare che ogni costruzione si regge (se togliamo la città di Venezia e poche altre) su fondazioni in calcestruzzo così come sono in calcestruzzo tutte le parti di edificio realizzate entro terra.
Ho scoperto che molto spesso si generalizza, in maniera impropria, l’identificazione della materia del costruito, per cui l’appena inaugurato nuovo ponte di Genova risulta e risulterà a Tutti un ponte “costruito in acciaio” o “ponte in acciaio” quando per la sua edificazione sono stati utilizzate circa 24.000 tonnellate di acciaio (comprese le 9.000 tonnellate di acciaio utilizzate per l’armatura del calcestruzzo) e 67.000 metri cubi di calcestruzzo (cioè circa 170.000 tonnellate) ; e non sarebbe potuto essere diversamente.
Ho scoperto che esistono anche bellissimi ponti totalmente in acciaio, escluse evidentemente le solite fondazioni, risalenti alla fine del 1800; tra tutti ricordo quelli costruiti dall'impresa Eiffel che, a Oporto, scavalcano il fiume Douro.
Ho scoperto che, al pari dell’acciaio, anche il calcestruzzo, evidentemente con tecniche diverse, è totalmente riciclabile e che la difficoltà, al pari dell’acciaio e di qualsiasi altro materiale, risiede non nella sua capacità endogena di un totale riutilizzo, ma nella complicazione esogena della preventiva selezione degli altri materiali componenti l’edificio (vetri, serramenti in legno e/o alluminio, tubi in pvc, materiali isolanti, ecc.) durante le demolizioni dei fabbricati.
Ho scoperto che il calcestruzzo non alimenta il fuoco, anzi, è resistente al fuoco, contrariamente agli altri materiali che lo diventano solo se inizialmente e periodicamente trattati con prodotti intumescenti o protetti, nel caso dell'acciaio, proprio con il calcestruzzo; e ho scoperto che detti trattamenti ne rendono assai costosa la riciclabilità, rendendola, talvolta, addirittura impossibile dovendo trattare i materiali demoliti al pari dei rifiuti speciali pericolosi.
Ho scoperto che il calcestruzzo non fonde alle basse temperature, che il calcestruzzo non arrugginisce, che il calcestruzzo resiste ai funghi e alle muffe, che il calcestruzzo non teme termiti e roditori.
Ho scoperto che, nella storia ormai millenaria, il calcestruzzo ha consentito la costruzione di opere ed edifici che con altri materiali non sarebbe stato possibile, o non sarebbero giunti fino a noi, quali il Pantheon con la sua cupola, voluto a Roma dall’imperatore Adriano.
Ho scoperto che l’industria offre al mercato delle costruzioni, oltre alla gamma normale cui siamo abituati, calcestruzzi ad altissima resistenza meccanica, fotocatalitici che catturano la CO2, drenanti, trasparenti, autopulenti, autoriparanti che racchiudono contenuti di ricerca e innovazione paragonabili a quelli dei prodotti farmaceutici, tra l’altro tutti sempre severamente controllati nel luogo di produzione.
Ho scoperto che il ponte più alto del mondo, il viadotto di Millau, l’edificio più alto del mondo, il Burj Khalifa, sono in calcestruzzo, ma pure il Museo della Scienza dell’architetto Santiago Calatrava a Valencia, la Stazione Marittima dell’architetto Zaha Hadid a Salerno sono stati costruiti in calcestruzzo.
Ho scoperto che le proprietà termiche legate alla massa del calcestruzzo riequilibrano gli sbalzi termici giornalieri in qualsiasi stagione contribuendo al risparmio energetico.
Ho scoperto che i valori dei pesi propri delle strutture, amplificati dai coefficienti di sicurezza dettati dalle normative, consentono alle costruzioni in calcestruzzo margini di sicurezza tali da sopportare carichi accidentali “straordinari” ben superiori a quelli imposti per legge, evitando che la caduta di pochi centimetri di neve, eccedenti quelli previsti dalla legge ed assunti nel calcolo statico, possano provocare, come già accaduto anche nel recente passato, i crolli di strutture realizzate con altri materiali che si vantano per la loro “leggerezza”.
Ho scoperto che il calcestruzzo è veramente una materia prima a ”KM 0”, come va di moda ora, e non deve essere importato dall’estero come succede per altri materiali.
Ho scoperto, anche, che per ottenere la massima durata ed evitare che il tempo e l’incuria producano danni, anche i manufatti infrastrutturali in calcestruzzo e gli edifici con essi costruiti, come capita a tutte le cose di questo mondo, hanno bisogno di essere sottoposti a manutenzioni, proprio come è obbligatoriamente richiesto, ma in maniera più costante, massiccia e costosa, alle opere realizzate con altri materiali.
Quindi?
Quindi, ho scoperto, con tristezza, quanto, ormai, anche nel settore delle costruzioni la comunicazione propagandistica sia divenuta preponderante su quella tecnica; e ho scoperto che il miglioramento della qualità dei materiali, molto spesso, non passa dai centri di ricerca e sperimentazione e dai laboratori, ma solo dalle modifiche di alcuni parametri normativi.
Quindi penso che sia giunto il momento che al calcestruzzo venga riconosciuto quel pacchetto vincente di qualità che ne hanno determinato, nel tempo, l’impiego massiccio nella nostra Italia, paese privo di ferro e legno, ma ricco di calcare e argille, e che lo ha fatto scegliere come materiale costruttivo dai migliori progettisti del passato e attuali.
Mi auguro che queste mie “scoperte” possano contribuire allo scopo.
A proposito, il titolo scaturisce da un esperimento realmente provato che, purtroppo, non ha dato l’esito positivo sperato.
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